Modellare la luce

Metallo, linee e luce, superfici specchianti: le opere di Angelo Morucci e Mario Venturini, uniti nell’acronimo M.V. Art in Design sarebbero piaciute all’ “incendiario” Filippo Tommaso Marinetti, padre del Futurismo italiano. «Veemente dio d’una razza d’acciaio, / Automobile ebbra di spazio, / che scalpiti e fremi d’angoscia / rodendo il morso con striduli denti / Formidabile mostro giapponese, / nutrito di fiamma / e d’oli minerali, / avido d’orizzonti, di prede siderali / Io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,/scateno I tuoi giganteschi pneumatici, / per la danza che tu sai danzare / via per le bianche strade di tutto il mondo(…)», scriveva il Poeta nella sua “Ode all’ Automobile da corsa”, nel 1905. Ed è infatti il mondo della meccanica, soprattutto dell’automobilismo sportivo, l’habitat professionale e creativo di Morucci e Venturini. Da là provengono il rigore progettuale e i materiali, il senso dinamico della sintesi messaggio-forma.

Nell’officina-studio dei due artisti, si ripristina quindi il valore umanistico delle antiche “botteghe”, dove si realizzavano indifferentemente opere d’arte e oggetti d’uso comune. Qui le fibre di carbonio e le leghe d’alluminio tirate a specchio con paste diamantate, imbrigliano la luce, solidificano linee immaginarie e organizzano le forme secondo una complessa simbologia. Se l’atto creativo diventa asse fra terra e cielo, tra l’uomo e l’imperscrutabile, allora, le sculture di Morucci e Venturini si servono dei fondamentali elementi di cui è fatta la vita: aria, terra, fuoco e acqua. Infatti, al di là della fisiologia dei materiali, ogni opera allude più o meno esplicitamente a questa sorta di “cosmogonia”.

Definire scultori i due artisti-designers, è una comodità di linguaggio di cui potremmo anche fare a meno. In realtà, più che scolpire, i due creano preziose “costruzioni d’arte” che si collocano nel corso tecnologico-immaginifico dei tempi; ribaltano il modo di percepire l’opera, dal nucleo “intuizione-espressione” (eredità a volte scomoda del pensiero crociano), alla combinazione modulare sostenuta dall’accurata progettualità, aderente a un’ inedita dimensione, pragmatica e lirica allo stesso tempo. Utilizzare materiali “tecnici” per traghettare un messaggio umanistico e, per una volta, universale, è un bell’esercizio di straniamento: si vengono a contrapporre i termini espressivi di una formulazione biomorfica da un lato e geometrica (su fondamenti euclidei) dall’altro. Eppure, tutto torna. La dimensione poetica ne esce rafforzata, e le immagini colpiscono in profondità, fino a sollecitare le molle nascoste della coscienza individuale. Queste opere, dunque, ci interessano come forme rappresentative e creative dell’oggi, rivelatrici in qualche modo, dei nostri stessi sentimenti che, prima, non conoscevamo con chiarezza, ma soltanto avvertivamo, confusi, dentro le nostre speranze quotidiane.

Lavorare nel fertile interregno delle creazioni uniche,eppure industrialmente replicabili, sembra la risposta più attuale alle nostre istanze emotive: noi abbiamo sempre un atteggiamento estetico di fronte alle cose, quando non siamo costretti a porci in quello funzionale, ma le sculture di Morucci e Venturini sfruttano proprio questa ambivalenza, facendo assumere, a chi guarda, una duplice ottica valutativa che spiazza ogni interpretazione canonica. Per questo la prospettiva plastica dei due artisti appare tanto autenticamente motivata a livello poetico, quanto totalmente aderente alla professionalità di sapienti artigiani.